27 Settembre 2023
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Un anno di Giorgia Meloni, spariscono i temi LGBTQIA+
Rosario Coco
Lo scorso 25 settembre 2022 il centrodestra guidato da Giorgia Meloni vinceva le elezioni,
più per l’astensionismo e per la confusione del fronte avversario che per meriti propri. Dopo un anno, fioriscono le varie ricostruzioni, sintesi e analisi da parte di tutte le testate nazionali. I temi principali sono più o meno gli stessi, dall’immigrazione al provvedimento sugli extraprofitti delle banche, dal reddito di cittadinanza, alle politiche fiscali e sul lavoro. Sul piano internazionale tengono banco i rapporti internazionali, tra il sostegno all’Ucraina e l’amicizia serrata con Orban e le destre Europee come Vox. C’è un tema che tuttavia è quasi completamente scomparso, anche nelle ricostruzioni dei giornali progressisti, ovvero lo scontro sui temi LGBTQIA+ e le famiglie arcobaleno.
È indicativo che una questione che ha dominato le prime pagine per settimane tra marzo e aprile, tra manifestazioni in piazza e botta e risposta tra sindaci, prefetti e procure non sia considerata tra i fatti più rilevanti di questo primo anno di centrodestra, sempre più poco centro e più destra.
Negli ultimi 12 mesi il Governo presieduto da Giorgia Meloni
ha ordinato alle prefetture di non registrare più gli atti di nascita delle famiglie arcobaleno, ignorando gli appelli a legiferare in materia di filiazione della Corte Costituzionale per coprire il vuoto normativo. Come se non bastasse, ha presentato e approvato alla Camera una proposta di legge inutile contro la GPA (già reato in Italia) che colpisce e stigmatizza le famiglie arcobaleno. Infine ha ha presentato una proposta di legge per respingere le persone migranti LGBTQIA+ e ha sbloccato i fondi per le case rifugio solo dopo la pressione della società civile e delle opposizioni.
Tutto questo è costato all’Italia una condanna dal Parlamento Europeo per l’utilizzo della retorica “anti-LGBT” e una ulteriore condanna per le per le scelte contro le famiglie arcobaleno. Non è possibile dimenticare quelle famiglie a Padova che hanno ricevuto la raccomandata dalla procura che impugnava atti di nascita registrati da oltre 5 anni.
A restare fuori dalle ricostruzioni è anche l’imbarazzo della Premier verso le parole di La Russa sull’accusa di stupro nei confronti del figlio e successivamente verso quelle del compagno Giambruno, che da apprendista divulgatore televisivo marciava sulla solita narrazione del “se l’è cercata” in merito alla violenza sessuale di Palermo. Tutto questo avveniva mentre Fratelli d’Italia provava (e prova tutt’ora) ad attaccare con ogni mezzo in Lombardia la carriera alias nelle scuole, forse un’esercitazione per qualche stoccata che dovremmo aspettarci sul piano nazionale.
Giorgia Meloni e Orban
Dulcis infundo, l’Italia si è schierata apertamente con l’Ungheria decidendo di non supportare l’azione congiunta della UE contro contro il governo di Orban per le leggi contro la “propaganda LGBT” nelle scuole. In altre parole, l’Italia sostiene uno Stato che per le sue politiche repressive e antidemocratiche ha quasi 30 miliardi di fondi UE congelati.
I Pride
Tutto questo è completamente sparito, tranne qualche accenno generico al “gelo sui diritti LGBT”, da tutte le sintesi e le analisi sul primo anno di governo Meloni. Sono passate in secondo piano le oltre 3 milioni di persone che durante tutta l’estate hanno colorato oltre 50 città d’Italia con i Pride: la più grande manifestazione di popolo degli ultimi anni. Con buona pace di chi dice che c’è un problema di predominio della cosiddetta “ideologia gender”, i fatti dicono piuttosto il contrario. Al di fuori dello scontro mediatico del momento, c’è ancora una sostanziale riluttanza, spesso in buona fede, a riconoscere il peso specifico di questo tema, tutt’altro che dannoso e ideologico, in termini di impatto sulla vita delle persone e sugli equilibri politici del Paese.