29 Luglio 2024

Tempo di lettura: 5min

Si parla delle Drag Queen, ma intanto niente donne trans alle Olimpiadi

Rosario Coco

Olimpiadi e Drag Queen, la polemica senza senso

Parigi 2024: dopo la cerimonia di apertura delle Olimpiadi si è parlato molto delle Drag Queen nella presunta rivisitazione dell’Ultima Cena o del ménage à trois apparso durante le performance della Cerimonia.

In realtà, “l’Ultima Cena” era un’interpretazione del Dio greco Dioniso e dei riti dionisiaci, come hanno subito commentato i social ufficiali delle Olimpiadi già durante la diretta (non dopo per scusarsi): “L’interpretazione del dio greco Dioniso ci rende consapevoli dell’assurdità della violenza tra gli esseri umani“.

E anche se fosse stata un’interpretazione del dipinto di Leonardo, dopo le centinaia di rivisitazioni che ne sono state proposte, perché solo questa avrebbe dovuto suscitare scandalo? Forse perché l’ironia e la leggerezza con la quale le Drag abbattono luoghi comuni e sessuofobia fanno ancora paura a molte persone.

E fanno così paura da far passare in secondo piano la bellissima rappresentazione di un erotismo spensierato e leggero fra tre figure androgine, due interpretabili come femminili e una come maschile, che si rincorrono in una biblioteca dopo aver letto il passaggio di Victor Hugo “La libertà di amare non è meno sacra della libertà di pensare” e poi mimano baci e abbracci prima di chiudersi in una stanza. È la prima volta che l’erotismo fra tre persone viene proposto in mondo visione, senza filtri (immagine Gay.it)

Olimpiadi e parità di Genere

Spostandoci sul campo, queste Olimpiadi sono le prime con effettiva parità tra uomini e donne.  Proprio a Parigi nel 1900, ebbe luogo la prima Olimpiade aperta alle donne: erano solo 22. Per il fondatore dei giochi Olimpici moderni, Pierre De Coubertin, lo sport femminile era la cosa più antiestetica che si potesse guardare. Era la fine dell”800 e di strada ne è stata fatta molta, per fortuna.

Tuttavia, questa Olimpiade presenta anche dei passi indietro rispetto a Tokyo 2020. Gli atleti apertamente LGBT sono aumentati costantemente negli ultimi anni, passando dagli 11 di Atene 2004 ai 186 di Tokyo 2020, quasi il triplo rispetto Rio 2016 (53) e quasi 10 volte rispetto a Londra 2012 (23) Quest’anno se ne contano 191, pochi di più rispetto alla scorsa edizione, un aumento estremamente contenuto. A fare coming out si confermano in stragrande maggioranza le donne, con un rapporto di 9 a 1 (Dati Outsports.com, grafico Gaynet).

Un’olimpiade senza donne trans

Secondo il rapporto IPSOS Pride 2023, le persone LGBTQIA+ nel mondo sono circa il 9%. A Parigi, con oltre 10.000 atleti, dovremmo vedere circa 900 atleti LGBTQIA+

Ma la questione più grande è che dopo la presenza di Laurel Hubbard nel 2020, sollevatrice di pesi neozelandese eliminata al primo turno, abbiamo un’Olimpiade senza donne trans, poiché le federazioni sportive hanno adottato regole più restrittive rispetto alle indicazioni del Comitato Olimpico Internazionale (CIO)

Il Comitato Olimpico, nelle nuove linee guida del 2021, ha ribadito i principi di inclusione, integrità corporea ed evidenza scientifica per la formulazione di eventuali restrizioni. Tuttavia, molte federazioni permettono solo alle donne trans che hanno iniziato l’affermazione di genere prima della pubertà di competere nelle categorie femminili.

Questo ha escluso molte atlete trans che, dall’oggi al domani si sono trovate tagliate fuori dalle competizioni. Il criterio, lanciato dalle federazioni di Nuoto e Atletica, utilizza le statistiche di uomini e donne cisgender, mentre il nuovo studio sostenuto dal CIO ribadisce che queste evidenza non sono sufficienti. Le donne trans con un anno di terapia ormonale, ad esempio, hanno alcuni svantaggi strutturali rispetto alle donne cis in termini di capacità aerobica, respiratoria e salto con il contro movimento.

Criteri ed esclusioni

Sempre secondo IPSOS Pride 2023, le persone trans rappresentano circa l’1% della popolazione, quindi in teoria dovremmo avere circa un centinaio di partecipanti, anziché 0.

Atlete come la nostra Valentina Petrillo, che gareggerà nell’atletica paralimpica come atleta ipovedente, oggi sono completamente fuori dallo sport come donne trans, a causa di criteri ancora più restrittivi di quelli precedenti alla svolta del 2021, che puntavano sulla riduzione del testosterone. Atlete che hanno affrontato trattamenti pesanti e invasivi per modificare i parametri ormonali e poter gareggiare, si sono improvvisamente trovate fuori con le nuove regole, che sono entrate in vigore senza tener minimamente conto delle singole carriere e con effetto retroattivo.

Note Positive

Una nota positiva riguarda due partecipanti apertamente non binary come Quinn e Hiltz. Secondo IPSOS Pride 2023, le persone non binary sono il 3% tra la generazione Z e l’1% del totale. Loro due hanno sempre giocato nelle categorie femminili e non affrontano gli stessi problemi delle donne trans circa la partecipazione allo sport. La loro presenza come atlete apertamente non binary accende tuttavia i riflettori su una delle identità più emergenti della collettività LGBTQIA+.

Le ultime ricerche

Volgendo lo sguardo alle ultime ricerche a livello europeo come SGS, osserviamo che oltre l’80% delle persone che praticano sport ritengono che sessismo e omotransfobia siano problemi gravi o molto gravi nello sport e che la metà di loro ha assistito al linguaggio sessista nei contesti sportivi.

Forse chi si strappa i capelli per le Drag Queen alle Olimpiadi e si indigna per le Cerimonie d’apertura dovrebbe capire che l’unico vero scandalo è l’esclusione dallo sport di ancora troppe, troppe persone, che si trovano davanti ambienti ostili e discriminanti e si vedono negato un diritto umano riconosciuto dal 2023 anche dalla nostra Costituzione.

 

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