Identità di genere (riferimenti giuridici)

Identità di genere: riferimenti giuridici

A livello internazionale, il diritto all’identità di genere è garantito da diverse sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013. 

Direttiva 2011/95/UE

L’espressione “identità di genere” è entrata nel nostro ordinamento con la Direttiva 2011/95/UE. Questa direttiva riconosce l’identità di genere  come uno dei motivi di persecuzione, soprattutto nel caso in cui ci sia  un contrasto tra i dati anagrafici e l’espressione di genere (vedi) di una determinata persona.

 

Recepimento nell’ordinamento italiano

Questa direttiva è stata  recepita con il D.Lgs. n. 18 del 2014, che nell’attribuzione della qualifica di persona rifugiata,  individua tra i motivi di persecuzione (art. 8) anche l’identità di genere.

 

Ordinamento penitenziario

Dal 2018  l’ordinamento penitenziario annovera l’espressione “identità di genere” unitamente all’espressione “orientamento sessuale”.

 

Corte costituzionale

La Corte costituzionale con la sentenza n. 221 del 2015, in riferimento alla rettifica anagrafica dell’attribuzione di sesso, ha affermato che il «diritto all’identità di genere» è «elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona».
La Corte è tornata sull’argomento nel 2017 con la sentenza n. 180 del 2017 ribadendo che  “va ancora una volta rilevato come l’aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz’altro espressione del diritto al riconoscimento dell’identità di genere”.

Decreto infrastrutture

Nel novembre 2021, subito dopo il voto negativo in senato sul ddl Zan, l’espressione identità di genere è comparsa nella conversione a legge del decreto n. 121 del  10 settembre 2021
(Decreto Infrastrutture). Il decreto  prevede “il divieto di pubblicità che propongano messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere, alle abilità fisiche e psichiche”.

            

        

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